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19/04/2012 Una doppia responsabilità

Intervento di Lena Ferrari* alla Conferenza “Gli effetti della crisi sulla subfornitura Meccanica in Emilia-Romagna”, tenutasi presso la CNA di Modena, il 29 febbraio 2012.
Trascrizione e revisione a cura di Margherita Russo** e Maddalena Vianello***
Nel dibattito che è seguito alle relazioni di Margherita Russo e Daniela Bigarelli, MR rivolge alle donne presenti un domanda che cerca di approfondire se la crisi abbia una specificità di genere. Tra le risposte, quella di Lena Ferrari riporta l’attenzione sulle donne nel ruolo di figlie e di madri, e sulle responsabilità nell’essere imprenditrice di una piccola impresa di subfornitura meccanica in una fase di trasformazione che impone nuove sfide, richiede nuove competenze, e sollecita anche nuovi modelli di impresa


Che cosa significa oggi essere donna e imprenditrice di una impresa meccanica?
Sento una doppia responsabilità: come figlia e come madre.
Come figlia, perché mio padre mi ha lasciato un’impresa. Faccio, infatti, parte di quei figli a cui il padre ha cercato di lasciare un patrimonio. No, non sono figlia di papà. Mio padre mi ha insegnato cosa vuol dire sacrificio. Ha pensato di lasciarmi un’attività avviata per poter condurre una vita normale. Certo, con qualcosa di più rispetto ad altri.
Oggi, assistiamo a un cambiamento. Un cambiamento, che non definirei crisi. È un cambiamento profondo e tuttora in corso. Non abbiamo ancora trovato un assestamento. Non abbiamo ancora capito quale sarà il mondo di domani perché continua a girare e noi continuiamo a girare insieme, in maniera probabilmente statica. Non abbiamo ancora compreso, infatti, quale strategia adottare su una scena così diversa.
Quel che è certo è che ci aspetta un importante cambiamento culturale. Dobbiamo aprire le nostre imprese, trovare nuove forme di aggregazione e di cooperazione.
È vero che nel mondo non si vende una lavorazione, si vende qualcosa di diverso: può essere una proprietà intellettuale, o un know-how, o un prodotto, un prodotto comunque di alto livello.
Ma per fare questo dobbiamo operare un passaggio culturale come imprenditori, e ci deve essere comunque un sistema che ci aiuti a farlo.
Quello che abbiamo fatto per 50 anni, la nostra storia, ci ha fatto rimanere così: piccole imprese. Tuttavia, per affrontare nuovi scenari è necessario essere strutturati e avere relazioni. È anche necessario, però, un sostegno attivo delle istituzioni per poter dialogare con le realtà dei diversi paesi con cui vogliamo entrare in contatto.
Credo che dobbiamo investire ancora tanto in formazione. Perché i tecnici che formiamo dovranno essere persone che hanno competenze nuove. Dovranno conoscere soprattutto qual è il tessuto industriale di questo territorio. E, sebbene la scuola abbia fatto dei passi avanti in questa direzione, questa competenza ancora non la genera.
I nostri futuri tecnici devono essere dei professionisti al pari di quelli degli altri paesi europei. Quindi, devono conoscere le lingue, devono avere un bagaglio di esperienze trasmesso loro dalla scuola assieme al mondo del lavoro e al mondo dell’impresa.
La seconda responsabilità cui accennavo è quella di madre.
Ho un figlio che ha 11 anni. Ho una figlia di 6 anni.
In questa fase tutte le risorse che ho a disposizione sono destinate a poter mantenere la mia impresa. Quindi, come tutti oggi, lascio completamente le risorse monetarie all’interno della mia impresa, e vado anche a rosicare quelle poche riserve che avevo accantonato per i miei figli. E temo che probabilmente a mio figlio io non darò un futuro come quello che mi ha dato mio padre: la possibilità di studiare, di andare all’estero, di poter fare corsi di formazione. Questo è secondo me un problema, perché i nostri figli devono avere un futuro. Deve essere data loro questa opportunità sia dalle famiglie, che dalla collettività.
Oggi, noi imprenditori siamo tartassati dal fisco e da tasse di ogni genere. Tuttavia, portiamo sul territorio innovazioni importanti attraverso l’investimento dei nostri capitali. Ma non ce la facciamo più. A un certo punto, prima o poi, anche noi dovremo fare delle scelte.
Un’ultima nota la vorrei dedicare al commento sulla analisi del passaggio generazionale, presentata nella relazione. Ogni azienda che chiude è un patrimonio che si disperde, è una fetta di competenze che perdiamo.
Eppure, ci sono dei bravissimi giovani che escono dall’università, e anche dagli istituti tecnici, capaci e con molta voglia di fare. Probabilmente varrebbe la pena affiancarli a qualche imprenditore che magari non ha la continuità: inserirli all’interno di un contesto, di un’impresa, nella quale possono portare innovazione, tecnologia; e magari insieme all’imprenditore, che passa loro le sue competenze, potrebbero fare delle cose nuove e mi viene anche da dire trovare anche dei nuovi modi di fare impresa. È fondamentale trovare delle forme per inserire i giovani all’interno delle imprese: non solo per sottrarli alla disoccupazione crescente, ma anche per dare nuovo slancio al sistema produttivo.


*Lena Ferrari è proprietaria di Ferrari Bruno & C. Snc, impresa che fa lavorazioni meccaniche. La sua impresa è partner di Officina Emilia e ha collaborato nel 2008 al progetto Parole di lavoro 
**Margherita Russo, docente dell’Università di Modena e Reggio Emilia, è responsabile scientifico di Officina Emilia e del progetto di ricerca Metalnet 
***Maddalena Vianello, assegnista di ricerca dell’Università di Modena e Reggio Emilia, è responsabile del progetto di ricerca di Officina Emilia Sonia, la meccanica delle donne

L'articolo è stato pubblicato sulla rivista inGenere - newsletter n. 56

 

 

[Ultimo aggiornamento: 04/01/2013 15:49:45]

 

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