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In che modo rilanciare l’esperienza di Officina Emilia?

Commentando la recente chiusura della sede di Officina Emilia, l'11 ottobre Filippo Tantillo, ha scritto sulla sua pagina facebook: “[OE è] un'esperienza che merita di essere rilanciata, perché contiene in sé il genio della capacità produttiva del nostro paese”.

“E come si fa a rilanciare questa esperienza?”, chiede Federico Batini.

Anche su sollecitazione dello stesso Filippo, condivido le piste di lavoro che stiamo cercando di esplorare.

C’è una premessa da cui partire: l’esperienza di Officina Emilia, che si è snodata per quasi quattordici anni (coinvolgendo oltre duecento collaboratori),  negli ultimi cinque ha potuto fare tesoro di un luogo fisico dove sperimentare - con tecnici e imprenditori, ricercatori, classi di studenti e insegnanti -  laboratori hands-on (dalla micro robotica alla storia dello sviluppo locale). Attraverso la progettazione e realizzazione di questi laboratori, i partecipanti hanno aperto lo sguardo ad una conoscenza attiva del contesto locale, apprendendo di quali lavori è fatto il tessuto produttivo locale, quali sono le organizzazioni economiche e sociali presenti, quali sono le connessioni su scala gobale dell'economia e della società locale, quali sono le istituzioni che favoriscono i processi di sviluppo e la cittadinanza attiva.

Se la ricerca teorica può andare avanti anche nello spazio fisico tradizionale del contesto accademico (le aule, per intenderci), con il museolaboratorio di Officina Emilia abbiamo constatato la necessità di altri tipi di spazi fisici e di progettazione, dove le contaminazioni tra tecnologia, economia, società e arte hanno attivato nuove collaborazioni e innovazioni, non solo nel campo della ricerca accademica, ma anche nelle pratiche sociali di produzione dei saperi. In tali spazi ibridi si possono creare le condizioni per sostenere le trasformazioni, che da più parti sono auspicate, nel sistema di istruzione e nelle sue connessioni con il sistema delle imprese e con la società. Istruzione, innovazione e competenze sono temi essenziali per il futuro della nostra economia e per il rinascimento manifatturiero, di cui ormai si parla come l’unica strada per il decollo dell’economia europea (il recente volume di Ignazio Visco, sulle competenze per la crescita nel XXI secolo, e quello di Filippo Astone, sulle potenzialità di decollo dell’economia italiana, ce la descrivono in modo analitico).

Se il patrimonio di esperienze, pratiche di didattiche e risultati di ricerca generato da OE non si può certamente azzerare con la chiusura della sede, certamente lo si può disperdere. Che cosa si può fare quindi ora che lo spazio fisico in cui era collocato il museolaboratorio di Officina Emilia ha dovuto chiudere?

Innanzitutto, perché ha chiuso?

La risposta è che, con i tagli di bilancio, l’università non poteva più sostenere i costi di spazi per attività non ordinarie, come quelle che si svolgevano nello spazio ibrido del museolaboratorio. L’università cerca risorse per i suoi musei con le collezioni tangibili, che comprendono magnifici dinosauri e importanti testimonianze della ricerca anatomica dell'Ottocento, ma non ha ancora in agenda progetti per la valorizzazione del patrimonio, anche intangibile, creato con OE.

La sfida sul che fare riguarda proprio le modalità e i soggetti con cui attivare nuove risorse finanziarie, ma anche progettuali.

Una strada che abbiamo avviato è allargare la riflessione ad altri soggetti interessati, oltre al gruppo di ricerca accademico.
In questo percorso è scaturita la proposta di uso temporaneo a Modena di uno spazio pubblico in disuso. Il progetto, a cui stiamo lavorando con due associazioni e con varie persone che a titolo individuale offrono contributi alla progettazione (vedi bozza disponibile on line), apre ad una riflessione più ampia su come attivare la creazione di beni pubblici che siano innovativi, inclusivi e sostenibili (dal punto di vista ambientale, economico e sociale): il museolaboratorio che abbiamo creato a OE era per sua natura un bene pubblico. 

Una seconda strada riguarda la valorizzazione della specifica progettazione realizzata con i laboratori didattici di Officina Emilia, candidando il nostro ateneo al coordinamento nazionale di un progetto sulle pratiche educative con la robotica e sulla robotica. L’idea è di fare un salto dalla sperimentazione alla validazione, individuando le condizioni per introdurre su scala vasta le migliori pratiche didattiche per migliorare la qualità dell’istruzione.

Una terza strada riguarda le collaborazioni necessarie per sostenere la condivisione anche istituzionale di un’esperienza come quella di Officina Emilia.
Questa strada passa per un più diretto coinvolgimento di altri partner.
Uno di questi è il Chicago Manufacturing Renaissance, che recentemente ha chiesto di poter condividere le pratiche di OE nel progetto di sostegno al rinascimento manifatturiero, su cui lavorano a Chicago, e con cui stiamo sottoscrivendo un accordo di collaborazione attraverso il Dipartimento di Economia del nostro ateneo.
Collegata a questa partnership c’è quella con Aster, con cui intendiamo condividere su scala regionale il patrimonio di esperienze e i nuovi progetti su cui avviare nuove pratiche per favorire una conoscenza attiva del contesto locale.

Piste di lavoro che si arricchiscono di contributi che attingiamo da teorie e pratiche dello sviluppo locale e dell'innovazione (da quella in ambito produttivo all'innovazione sociale), dalla ricerca in campo educativo, ma anche nei campi delle arti performative, così come dalla progettazione in campo museale. Un cammino complesso. L'unico che ci pare in sintonia con l'esperienza di OE.

[Ultimo aggiornamento: 12/10/2014 19:26:48]

 

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